domenica 21 giugno 2015



FESTIVAL OF SILENCE

L’importanza di ciò che non si percepisce.

Viviamo in una bolla satura di suoni e rumori.
La moltiplicazione inarrestabile degli oggetti, delle informazioni, delle sollecitazioni sensoriali fa sì che l’uomo d’oggi si trova a vivere in un “troppo pieno”, in un “troppo rumore”.      
Ci troviamo di fronte a un colossale “inquinamento immaginifico”: l’eccesso di stimolazioni visive e auditive ha fatto sì che non resti più nulla di libero da segni, segnali, indici. L’effetto è quello del frastuono, del rumore frastornante, perfino quando è musica.
L’ipertrofia segnica ha raggiunto un parossismo per cui avvertiamo (o meglio dovremmo avvertire) sempre di più la necessità d’una pausa immaginifica.
SHHHH!
Il silenzio è percepito erroneamente come un vuoto, un’assenza, una “non-vita”, la paura che questo fantasma  si presenti a noi fa sì che altri nuovi suoni vengono prodotti, suoni per colmare e anestetizzare temporaneamente la paura del vuoto-silenzio.
Il silenzio assoluto non esiste.
Anche il silenzio è una presenza, esso è parte integrante della vita e quindi ha sempre un significato e un valore.
Occupati ad allontanare il fantasma il nostro orecchio si è fatto sordo, ignorante, intrappolato in un Horror Pleni che pochi avvertono e che tutti invece dovrebbero temere. Urge una pausa, tornare a sentire ciò che non si percepisce, un silenzio costituito da molteplici suoni, i suoni esistenti, quelli dell’ambiente in cui ci troviamo, del nostro cuore e del nostro corpo.

CONCERTO DI SILENZIO N° 1 :  l’intervallo perduto tra un frastuono e l’altro  



The importance of what is not perceived.
 We live in a bubble overfilled with sounds and noises. The unstoppable multiplication of objects, information, sensorial stimuli, makes it so that today's man finds himself living in a "too full", in a "too much noise". We are faced with a colossal "image-bursting pollution": the excess of visual and aural stimuli made it so that nothing remains free from signs, signals, indexes. The effect is that of the din, of the dazing noise, even when it's music. The sign-ful hypertrophy has reached a paroxysm due to which we feel (or better, should feel) more and more the necessity of an imagerial pause.
SHHHH!
Silence is erroneously perceived as emptyness, absence, "non-life", the fear that this ghost might show up to us makes it so that other new sounds are produced, sounds to fill and temporarily anesthetize the fear of the silence-emptyness. Absolute silence does not exist. Silence is a presence as well, it is an integral part of life and, therefore, it always has a meaning and a value. Busy with thrusting away the ghost, our ears have become deaf, ignorant, prisoner in a Horror Pleni which few are aware of and which, instead, everyone should fear. A pause has become necessary, going back to hearing what is not perceived, a silence made of multiple sounds, the existing sounds, those of the environment we are in, of our heart and of our body.
 CONCERT OF SILENCE NR. 1: the interval lost among a din and another one.

EnglishTraslation by Simone Bevilacqua



Il CD ( solo 110 esemplari) del "concerto di silenzio N° 1"
in vendita al costo di 20,00 euro + spese di spedizione 5 euro.

Se proprio vuoi averlo utilizza il pulsante donazione qui di seguito.








20.08.2015 

ore 22:00  BOSCODELLA DIFESA, Strada Provinciale 73, MONTAGANO (CB)


All’evento può assistere un massimo di 100 spettatori, è necessario PRENOTARSI

 -Inviare una mail a komagallery@gmail.com ,
- rIceverai una mail da stampare e presentare la sera del concerto.
- saranno ammessi al Teatro solo chi è in possesso di mail di risposta.

Si ricorda che la prenotazione è personale, e che il costo è di €5,00 all'ingresso delTeatro


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Con il patrocinio di: 

































Sementi di luce a raccolta chiamano
















Fatui fuochi a indicare il cammino.



















Giunti....per appendere al chiodo le stanche orecchie.

















Video



Essenziale Bibliografia 


A quasi trent’anni di distanza dalle prime ricerche ed esperienze condotte a Vancouver dal compositore e teorico canadese R. Murray Schafer e dai suoi collaboratori, gli «studi sul paesaggio sonoro» (soundscape studies) hanno al loro attivo un notevole corpus di elaborazioni teoriche e un buon numero di indagini sul campo. Più o meno a partire dallo stesso periodo in cui è nata l’attività di ricerca e di teorizzazione sul paesaggio sonoro, si è sviluppata anche una produzione sonora di «musica ambientale» che, in varie forme e in parallelo alle correnti di arte ecologica, ha posto il rapporto con l’ambiente al centro del processo creativo. La concomitanza della nascita delle due nuove pratiche culturali costituisce lo sfondo e lo stimolo per avviare una riflessione sullo statuto che l’attività musicale ha avuto nella civiltà occidentale e sulla sua condizione attuale. Le opposte vie che gli uomini hanno seguito nel pensare e fare cultura, riassunte dall’antropologo Claude Lévi-Strauss nella dicotomia fra primitivi e civilizzati, valgono anche per la musica. Se la cultura occidentale è stata storicamente la culla e il centro propulsore (fino all’attuale «occidentalizzazione del mondo», secondo l’espressione di Serge Latouche) del secondo polo della dicotomia, la novità degli ultimi anni è che un sempre più consistente numero di studiosi e musicisti sta mettendo in questione i fondamenti di tale scelta, favorendo il sorgere di una disciplina, l’«Ecomusicologia», nella quale nuovi e antichi saperi e pratiche possano trovare una nuova sintesi.


Quali sono i luoghi dove nasce il silenzio? Nelle nostre chiassose città dove il rumore è fabbricato come una merce è difficile trovarli, ma quando se ne scova uno si segnala con una piccola piuma blu. Questo taccuino insegna come cercare i luoghi silenti stanandoli dagli interstizi della città e della campagna utilizzando tecniche timide per scoprire gli anfratti, le crepe e le lesioni e mandare in tilt le certezze del mondo con l'immaginazione. Il segreto è semplice: saper ascoltare il luogo senza giudicare, lasciandolo essere, mettersi in sintonia, creare una nuova alleanza, una simpatia fatta di amicizia, di pietà e confidenza. Così nasce una specie di guida che si oppone agli spazi ostentati e rumorosi dove l'architettura è esibita senza pudore e il chiasso la fa da padrone. Dobbiamo imparare a vedere il silenzio con gli occhi e riconciliarci con il mondo. È una sfida: anche le rivoluzioni si fanno in maniera silenziosa.





Mettersi in ascolto è già presidiare il luogo del silenzio; è già presenziare davanti al suo inizio con la propria postura, la propria condizione, la propria storia, stabilendo con esso una sorta di patto d'attenzione. Da questo momento in poi il silenzio non sarà più un vuoto nulla, un niente che inquieta e perturba, una situazione posta semplicemente in assenza di rumore, ma al contrario, un luogo nel quale e con il quale incominciare a realizzare un contesto nuovo: un'originaria narrazione di sé.










Silenzio è il nome di un fantasma che spaventa e insieme meraviglia l'uomo. Quale silenzio ci è dato in realtà? Come un inno al tempo interiore, questo libro evoca le tante voci del silenzio. Immaginiamo silenzi luminosi, di pudore e rispetto, di umiltà e prudenza, di mitezza e pazienza o silenzi oscuri di disprezzo e rancore. Silenzi violenti di bocche cucite, di chi manda giù veleni. Ogni parola ha il suo silenzio e la biblioteca universale ne è piena. Questo libro è una occasione d'ascolto e poesia.










"Come parliamo quando parliamo di silenzio?". Attenzione, non soltanto, "di che cosa parliamo", ovvero quali sono la natura, la sostanza, la struttura del silenzio, bensì, soprattutto, come ne parliamo, cioè quali sono le immagini, le espressioni, le metafore che si celano nelle parole con le quali parliamo di silenzio, e che cosa di esso ci rivelano? Esistono due modelli mentali dominanti per parlare del silenzio: come cosa positiva, solida, dura, che riempie lo spazio, e che il suono e la parola, col loro irrompere, infrangono; o, all'inverso, come un magma liquido nel quale le parole affiorano come blocchi di lava galleggiante. Su tale dualità riflette filosoficamente questo libro









L'immaginazione ci permette, a volte, d'intuire o di scoprire l'ordine nascosto di una lingua universale che la natura stessa modella e articola attorno a noi. È una lingua soggetta al molteplice e al mutevole, nonché intrisa di miti e simboli, tra i dati della morfologia del territorio, della storia e della cultura. Nella mobilità del nostro sguardo e del nostro sentire osserviamo le cose svolgersi attraverso sequenze di segni e rappresentazioni che ci accompagnano e ci corrispondono. Proviamo allora la sensazione di vivere un'esperienza ricca di figure, forme, metafore. Possiamo anzi dire di essere coinvolti, piacevolmente coinvolti in questa estasi della percezione. Così accade quando un angolo di paesaggio, prima non valorizzato ai nostri occhi, conquista il nostro sguardo e ci porta a pensare di essere, noi stessi, osservati da ciò che stavamo contemplando. Scopriamo di partecipare a una trasformazione: gli alberi, la collina, la valle, le montagne, i campi, tutto ciò che compone il paesaggio alla mia vista si è fatto più vicino per una specie di fusione, di atto d'amore, d'incanto, Io mi vedo e sono ovunque. La lontananza è sparita in una vicinanza. La percezione, grazie a un dèmone del silenzio, non è mutata in una descrizione, ma in un'illuminazione.


Viviamo, volenti o nolenti, in una "civiltà del rumore". Ovviamente, una certa quantità di rumore, di scoria in eccesso, è tipica di qualunque comunicazione, anche sana. Il problema è che oggi la scoria, la prevalenza del corto-circuito massmediatico, ha completamente soppiantato le attività culturali. La moltiplicazione inarrestabile degli oggetti, delle informazioni, delle sollecitazioni sensoriali - visive, auditive, tattili - ci fa parlare di Horror Pleni. Un qualche tipo di "rifiuto", seguendo Gillo Dorfles nelle sue esplorazioni sul contemporaneo, nelle sue scorribande tra ambienti, mode, culture, stili di vita? Gli appunti di questo taccuino critico partono dal concetto di bellezza oggi e dai vari linguaggi, dialetti, stili, gesti, per arrivare ai videogames e al pulcino Tamagochi, ai piercing e alla moda della moda, fino all'informazione-spettacolo e alla pornografia.







Anche per un musicista l’assenza di suoni può rappresentare ispirazione e vera e propria musica per le orecchie. Mario Brunello con Silenzio racconta che cos’è questa strana forma, ormai quasi aliena all’umanità, sovraccaricata e inquinata dai rumori che si fanno spesso moleste presenze. Violoncellista e direttore dell’Orchestra d’archi italiana, Brunello è un’artista alla ricerca di ispirazione e di una sorta di meditazione, come dimostra la sua esperienza di camminata nel Sahara, o le sue sperimentazioni di concerti in luoghi non normalmente nati per queste attività come una cima dolomitica o un monastero. Ma è proprio qui che nasce l’unicità di Brunello che racconta in Silenzio che cosa davvero significhi per lui questa magica parola, che per lui si è fatta luogo, con una sua presenza, agli occhi e alle orecchie. Al violoncellista ovviamente non interessa un silenzio qualunque, ma quello in cui la musica si forma, prende vita e diventa arte. Mario Brunello racconta così come nascono le sue note: all’interno di una specie di luogo in cui non ci sono, in cui, per l’appunto domina il silenzio che permette però all’artista di entrare, di essere segnato. E così nasce la musica. Il suono si sistema in quel silenzio. Ecco allora la ricerca di luoghi dove il silenzio è d’oro, dove esso prospera e viene rispettato, come una montagna o un deserto. Persino però in un mercato pieno di colori e di casino, il musicista trova il suo silenzio e lo trasforma in qualcosa che potrebbe addirittura diventare Bach. La vita come sempre è linfa vitale per l’arte, la nutre e la tiene sveglia, attenta, piena. 




Nel mondo della musica contemporanea c’è un prima e un dopo 4’33’’ di John Cage. Questa composizione senza note, questo silenzio «attivo» – un pianista che non suona per 4 minuti e 33 secondi – rappresenta una delle opere d’arte più famose, controverse e incomprese di tutti i tempi.
Kyle Gann racconta la vita estrosa di John Cage e analizza il suo capolavoro, illuminandone le influenze musicali e filosofiche: da Marcel Duchamp alla teoria dello Zen, da Erik Satie alle tele bianche di Robert Rauschenberg. Nel centenario della nascita del compositore e a sessant’anni esatti dalla prima rivoluzionaria esecuzione di 4’33”, questo saggio esplora le interpretazioni e le reazioni che il gesto di Cage ha suscitato (un esperimento dadaista? una riflessione sull’ascolto? una presa in giro?), e i modi in cui ha cambiato tutta la musica che è stata scritta da quella sera del 1952 ad oggi.
Kyle Gann è compositore e musicologo, ed è stato per vent’anni una delle voci critiche più importanti di Village Voice. Insegna teoria musicale e composizione al Bard College di New York.







Uno dei libri più prestigiosi editi dalla Feltrinelli negli anni '70 fu questo testo di John Cage, valutato dai librai intorno ai 100 euro o più.
John Cage (1912-1992) fu un compositore americano - nonché teorico della musica e autore di saggi sull'argomento - che si spinse ai limiti dell'avanguardia in musica. 
Uno dei più geniali antesignani dell'ondata neoavanguardistica che coinvolgerà le arti verso la metà del Novecento.
La sua carriera iniziò a Los Angeles, ma già nel 1936 si trasferì a Seattle dove entrò in contatto con il famoso coreografo Merce Cunningham, un personaggio che ebbe una grande influenza sulla sua opera.
Nel 1940 iniziò a interessarsi di buddismo Zen e ad altre forme di filosofia orientale, anche grazie alla presenza alla Columbia tra il '46 e il '47 di un grande maestro della filosofia orientale, il giapponese Suzuki.

La filosofia orientale e le teorie del maestro ebbero un'incidenza decisiva sul suo concetto di musica come riduzione, come liberazione dal superfluo, che culmina nel 1952 con il famosissimo brano 4'33'' (dalla durata del brano completamente privo di suono). Come afferma Cage stesso: “Ho valutato di liberare il mio lavoro dalle mie simpatie e antipatie, perché ritengo che la musica dovrebbe essere libera dai sentimenti e dalle idee del compositore”